Un nuovo Racconto: “Tu dammi il tuo amore”

Un nuovo Racconto: “Tu dammi il tuo amore”

Da uno scenario di morte spunta una vita, che cerca aiuto e conforto.

Li trova e recupera forze e fiducia, perchè la vita e la morte viaggiano spesso vicine, ma a volte la morte rimane indietro.

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Tu dammi il tuo amore

Mamma, piove tanto, sono tutta bagnata; e ho paura. Tutte questa macchine sfrecciano a grande velocità e il rumore dell’acqua sotto le ruote, unito allo scroscio della pioggia è assordante. Mamma ho tanto freddo, posso venire a scaldarmi addosso a te? Sei tutta bagnata anche tu.
Mi si è anche tappato il naso, non riesco a respirare, e l’occhio sinistro mi lacrima.
Carlos non ti allontanare, non lasciarci qui da sole, la mamma ha detto di non allontanarci, potrebbe essere pericoloso. Mamma, Carlos non ascolta, vuole a tutti i costi andare a vedere le macchine da vicino, digli che è pericoloso. Carlos non ti avvicinare alla strada. Carlos!
Ho paura. Mamma, hai paura anche tu? Mamma… Mamma… Perché non mi rispondi?

Stavo guidando verso casa, era già buio quando sono uscita dal gattile; avevo portato dei giornali e qualche detersivo, oltre ad uno scatolone di cibo; era un gesto consueto che ormai ripetevo tutti i mesi da un paio d’anni. Il regolamento condominiale mi impediva di tenere un animale in casa, perciò avevo risolto il mio bisogno di donare affetto ad una bestiolina pelosa facendo volontariato. Quella sera pioveva a dirotto e nonostante i tergicristalli fossero regolati sulla massima velocità, la pioggia battente, unita ai riflessi delle altre auto sull’asfalto bagnato, rendevano difficoltosa la guida. Stavo percorrendo la statale verso Francolino quando d’un tratto notai una piccola sagoma a bordo strada e d’impulso frenai, accostai la macchina e accesi le quattro frecce. L’istinto mi disse che forse c’era qualcuno da salvare. Non persi tempo a cerare l’ombrello finito chissà dove nel caos dei sedili posteriori, afferrai la pila che tenevo nel vano dello sportello, mi misi il cappuccio della felpa in testa e uscii. La pioggia era insistente e cadeva violenta contro l’asfalto, come se volesse punirlo per qualcosa che aveva fatto, qualcosa che scoprii non appena feci pochi passi nella direzione opposta a cui ero venuta.

Mamma, un’auto si è fermata, non so se devo scappare o restare qui, ferma, immobile. Dimmi tu cosa devo fare, mi sta salendo il panico, l’istinto mi dice fuggi, ma la testa è in confusione, non riesco a ragionare, le zampe non si muovono. Rispondimi ti prego, Carlos non c’è e si sta avvicinando una ragazza, vuole prendermi. Ora urlo.

[su_expand more_text=”Leggi tutto” less_text=”Chiudi” height=”0″ link_color=”#5785a9″ link_style=”underlined”]Ed eccolo lì, lo spettacolo che mai avrei voluto vedere, lo strazio riempì i miei occhi e una sensazione mista di rabbia e tristezza mi salì da dentro. Il fascio di luce della pila illuminò il corpicino senza vita di un gattino che giaceva inanime a bordo strada. La pioggia si stava accanendo sul suo pelo, gli schizzi ne avevano rovinato il candore, rendendolo un ammasso informe, simile ad uno straccio vecchio; gli occhi chiusi, forse per l’impatto con un’auto, forse per il dolore istantaneo e senza scampo.

Stetti qualche secondo a fissarlo, poi nel fragore della pioggia battente sentii un flebile miagolio; puntai la pila verso i fasci d’erba a bordo strada e mi avvicinai lentamente. Era un lamento disperato e impaurito. Mi sporsi appena e fra l’erba alta c’era un gattino addossato al corpo della mamma. La gatta purtroppo era riversa in una pozza di fango, immobile. Piccoli occhi verdi stavano spalancati a fissarmi, si leggeva la paura nel suo sguardo e non appena mi avvicinai iniziò a soffiare e a miagolare più forte.

Non so più cosa fare, la mamma non risponde, Carlos è sparito dietro l’erba e non è più ricomparso, e questa ragazza si sta avvicinando sempre di più. È inutile che cerchi di intortarmi con parole dolci, non ti conosco e mi è stato insegnato di non dare confidenza agli sconosciuti. Ehi, che intenzioni hai? Non azzardarti a toccarmi, e tanto meno la mia mamma! Non fare un passo di più, ho già pronte le unghie, non avvicinarti. Ehi, stai lontana da me, non toccarmi ti ho detto, tieni giù le mani. Ehi, ehi, dove mi stai portando. Rimettimi giù. Mamma, mamma, mamma!

Delicatamente riuscii a sollevare con la mano sinistra quel grumetto di pelo e me lo tirai al petto, era fradicio, e senza pensarci aprii la felpa e me lo misi sotto. Il tepore del mio corpo lo calmò un pochino, veloce ritornai alla macchina e frugai nella borsa in cerca del telefono. Chiamai una delle ragazze che gestiva il gattile per chiederle cosa dovessi fare, avevo due gatti morti che non potevo lasciare lì e un altro da curare e portare immediatamente al caldo e all’asciutto. Elena arrivò dopo un quarto d’ora, il traffico delle sei l’aveva rallentata, ma arrivò con tutto l’occorrente, un trasportino e degli asciugamani per il piccolo superstite e un sacco nero per gli altri due. Li raccogliemmo per potergli dare una degna sepoltura, non meritavano di rimanere lì, ignorati ulteriormente, già la vita e la crudeltà dell’uomo li avevano condannati a quella triste fine. Guardai il micetto, era così piccolo e inerme, tremava per il freddo, così lo avvolsi in un asciugamano e lo misi nel trasportino. Arrivati al gattile scoprimmo che il nostro fagottino in realtà era una gattina e decidemmo di chiamarla Frou Frou, per via delle fusa insistenti che aveva cominciato a fare non appena l’avevamo asciugata e nutrita con un pochino di cibo.

Il veterinario la visitò il giorno seguente e trovò subito che la situazione non era rosea, le vie respiratorie erano intasate dal muco, i condotti lacrimali erano ostruiti e la congiuntivite stava iniziando ad intaccarle gli occhi. Molto spesso le patologie che riguardano l’apparato respiratorio nei gattini sono fatali, ma avremmo fatto un tentativo, pertanto le prescrisse una pomata per gli occhi da metterle due volte al giorno e un ciclo di antibiotici, due se fosse stato necessario.

A luglio la struttura è sempre intasata, sono numerosi i gatti che vengono raccolti per strada o nelle colonie in cui nessuno si cura più di loro, e le cucciolate crescono in modo esponenziale. Frou Frou si trovò a condividere la gabbia con un’altra gattina simile a lei, ma con una febbre persistente che non voleva saperne di scendere, e un gattino rosso i cui occhi non avrebbero più potuto vedere i meravigliosi colori e la luce del giorno.

Ciao! Il mio nome è Frou Frou, o almeno così mi ha chiamato la ragazza che mi ha salvata, e tu come ti chiami? Minù è proprio un bel nome. Hai la febbre anche tu? Stai tranquilla, vedrai che il dottore ti curerà. Ma secondo te, resteremo per sempre qui dentro? Io vorrei tanto poter rivedere la mia mamma, l’hanno messa dentro un sacco nero la sera che mi hanno raccolta dalla strada e non so dove l’hanno portata. Questo posto non mi piace tanto, tutto questo vociare di gatti che chiacchierano, si lamentano, chi piange, chi urla, ho un po’ di paura ad essere sincera.

Nel giro di tre settimane Frou Frou si ristabilì, gli occhietti rimasero lacrimanti, ma almeno la congiuntivite era guarita. Ora era pronta per l’adozione.

Fu in un giorno di fine settembre che varcò la porta del gattile una giovane coppia, la ragazza era in cerca di un gatto a cui donare amore.

«Non m’importa l’età del gatto, e nemmeno il suo stato di salute, vorrei dare una seconda possibilità ad un micio sfortunato», chiarì fin da subito.

Le feci fare un giro della struttura, e lei, in un silenzio quasi ossequioso, mi seguiva, stanza dopo stanza. Di sottecchi la sbirciavo ogni qual volta ci fermavamo davanti ad una gabbia, i suoi occhi si inumidivano, e una leggera smorfia le nasceva agli angoli della bocca, sembrava quasi sofferente a vedere certe situazioni, gatti senza un occhio, con la coda mozzata, o semplicemente adulti e quindi ignorati da altri visitatori. Quando arrivammo all’ultima stanza le chiesi se c’era un gatto che l’aveva colpita particolarmente, e d’un tratto Frou Frou iniziò a miagolare e ad allungare le zampine attraverso i buchi della gabbia, facendo i panetti in aria, senza smettere di urlare. Gli occhi della ragazza si illuminarono, un sorriso dolcissimo le inondò il viso. La fissai un attimo.

«Scegli lei, è praticamente l’unica gatta sana qui dentro», le dissi.

«Non ho scelta», mi rispose sorridendo, «è stata lei a scegliere me».

Guardami, so fare le fusa e miagolare! Scegli me, scegli me, ti prego! Hai visto Minù? C’è una nuova mamma venuta in cerca di noi, forse non dobbiamo restare qui dentro tutta la vita, forse c’è ancora una speranza per noi. Scegli me, lo sento che sarai tu la mia nuova mamma, guardami, fammi una carezza. Oh che buon profumo che hanno le tue mani; si, ne sono certa, sono destinata a vivere il resto della mia vita con te.

Dopo quattro giorni, terminata l’ennesima terapia antibiotica, Frou Frou andò a casa con la sua mamma, che le diede un nome adatto alla sua personalità e ai suoi meravigliosi occhi, così ipnotici, come quelli di Greta Garbo, un nome importante, perché dopo tutte le avversità a cui la vita l’aveva messa di fronte, ora poteva rinascere e vivere una vita felice e piena d’amore.

Il suo nome sarebbe stato Greta.

Marica D’Incà

marzo 2018[/su_expand]