Il 9 marzo 2020, su Wired.it venne pubblicata una lunga intervista a David Quammen, scrittore e divulgatore scientifico, noto soprattutto per essere l’autore di Spillover, il saggio narrativo uscito nel 2012 che è stata una delle letture preferite dagli italiani soprattutto nel periodo del lockdown, in un paese che doveva responsabilmente restare chiuso in casa a causa della pandemia e che si diceva già pronto a cambiare modi e stili di vita appena finita la “grande paura”.
Dagli anni pre-pandemici – che abbiamo spergiurato di rinnegare – in realtà è cambiato davvero pochissimo e la specie umana – soprattutto quella occidentale, più ricca e smemorata, salvata dai vaccini su cui ha anche avuto modo di esercitare la propria innata insofferenza a una scienza che non asseconda l’irresponsabilità – è tornata a preferire il peggio di sè: l’egoismo elevato a sistema, l’arroganza promossa a metodo, il menefreghismo consigliato come antidoto, il rifiuto delle differenze come garante di sicurezza, il primato del sangue come difesa dell’origine, la negazione delle relazioni come strumenti di comprensione delle realtà e così via.
Ecco perchè fa bene rileggere quell’intervista, la prima a fornire una lettura coerente e conseguenziale delle cause della pandemia superata da poco e soprattutto di altre che potrebbero presentarsi in futuro. “Le ragioni – dice – per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno spillover, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui (n.d.r. – oggi arrivati a superare la soglia degli 8 miliardi) che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. Quando un virus degli scimpanzé, per esempio, fa il salto per diventare un virus dell’uomo, ha aumentato enormemente il suo potenziale di successo evolutivo. Un esempio? Il virus che chiamiamo Hiv-1 (n.d.r. – è il virus dell’immunodeficienza umana, passato dallo scimpanzè all’uomo a metà del secolo scorso, poi diffusosi in tutto il mondo a partire dagli ’70 e nel 1981 descritto come responsabile dell’AIDS)”.
Essenziale, secondo lo scrittore americano, la consapevolezza che “le persone e i gorilla, i cavalli e i cefalofi e i maiali, le scimmie e gli scimpanzé e i pipistrelli e i virus: siamo tutti sulla stessa barca”, cosicchè “non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma: siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo. Siamo troppi…e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus. Una soluzione? Dobbiamo ridurre velocemente il grado delle nostre alterazioni dell’ambiente, e ridimensionare gradualmente la dimensione della nostra popolazione e la nostra domanda di risorse”.
Dunque, siamo tutti sulla stessa barca…ma al timone c’è una specie sola: quella umana, quella più dannosa di tutte.