“Di cucciolate fatte “ad capocchiam” non dovrebbero mai nascerne. Le cucciolate (di meticci, ndr) si possono fare…ma devono essere riservate a persone che sanno quello che fanno (e preparano la gravidanza con esami clinici, ndr), che non improvvisano (ad esempio, sapendo perfettamente di poter sistemare tutti i cuccioli, ndr), che non pensano che basti “lasciar fare alla natura”, perché purtroppo non basta affatto.” A scriverlo – alcuni anni fa – è Valeria Rossi, cinofila e autrice di più di cento libri sui cani – di cui alcuni disponibili anche nella nostra piccola biblioteca destinata ai volontari – deceduta nel maggio del 2016, ma i cui scritti sono tutt’ora disponibili sulla rivista online “Ti presento il cane”.
A questo universo di conoscenze abbiamo deciso di attingere per proporre qualche riflessione ai bellunesi che continuano a sfornare (e richiedere) cucciolate.
Innanzitutto – dice Valeria Rossi – non è assolutamente vero che la cagna “ha il desiderio di maternità”, nè che “le fa bene alla salute” fare una cucciolata. In pratica, se non sta allattando, una cagna non può provare alcun istinto materno e neppure le gravidanze isteriche hanno nulla a che vedere con un presunto desiderio di maternità. Quanto ai vantati effetti benefici della maternità, se si vuole davvero proteggere la cagna dai tumori alla mammella, dalla piometra e così via la cosa migliore da fare non è farla partorire, ma sterilizzarla.
Non è, poi, assolutamente vero che dopo una cucciolata la cagna “si calma”. Anzi, sottolinea la Rossi, alcune cagne dopo aver avuto una cucciolata “scoprono” doti caratteriali che fino ad allora sarebbero rimaste latenti, ma che vengono espresse proprio a causa dell’istinto materno: prima fra tutte, indovinate quale? L’aggressività.
Un’altra “sciocchezza” che si sente ripetere è che “pensa a tutto la mamma”: non è per niente così e una cucciolata – sottolinea Valeria Rossi – è un impegno pazzesco! Tant’è che è quasi automatico che il proprietario vada nel panico e le conseguenze sono drammatiche: cuccioli ceduti troppo presto, non socializzati e talvolta neppure impregnati in modo corretto; una vera e propria corsa alla ricerca di “qualcuno che se li prenda” senza fare neanche uno straccio di valutazione dei futuri proprietari: il che porta a cani successivamente abbandonati o – nella migliore delle ipotesi – gestiti con altrettanta superficialità.
Ci sono, poi, le finalità speculative, rispetto alle quali Valeria Rossi è lapidaria: non ci si può arricchire (ma neanche arrotondare lo stipendio) sulla pelle della cagnetta di casa!
Un ultimo motivo che sembra spingere la gente a fare cucciolate è il desiderio di “perpetuare la stirpe” del proprio cane, maschio o femmina che sia. E la considerazione della Rossi al riguardo non ammette scorciatoie: “anche se personalmente non capisco la voglia di “avere un figlio del proprio cane” più di quanto non capisca la fissazione di mantenere vivo il proprio cognome (cercando un figlio maschio, ndr), non ci troverei niente di male in questo desiderio se però le Sciuremarie si tenessero tutta la cucciolata”.
Che altro aggiungere per convincere i bellunesi sia a non fare cucciolate, sia a non alimentare un mercato irresponsabile cercando in continuazione cuccioli? Forse che di cani nati da accoppiamenti “ad capocchiam” ne sono pieni i canili?!