Cervi da abbattere (una strage evitata dall’attività dei lupi, che hanno iniziato a praticare overkilling, ossia a predare più esemplari di quelli necessari in modo da non invogliare altri branchi ad insediarsi nell’area, come è successo, ad esempio, in Cansiglio) e soprattutto lupi da eliminare (con una cronaca sulle predazioni inzuppata di pressapochismo, banalità e sensazionalismo): decisioni e semina d’odio riconducibili al mondo venatorio e agricolo, ma anche associativo e giornalistico, che periodicamente si attivano per denunciare la presenza di “troppi” cervi, “troppi” lupi, “troppi” cinghiali.
Ma “troppi” rispetto a cosa o a chi?
Una risposta di grande intelligenza l’ha data, nel luglio di due anni fa, Luigi Boitani, decano degli studi sulla convivenza tra fauna selvatica e umani, biologo e divulgatore: la verità è che il numero di lupi, di cervi, di orsi, di cinghiali “è eccessivo non di per sé ma con riferimento al disturbo che questi animali arrecherebbero all’uomo, in particolare ai danni o ai pericoli che causano alle sue attività. E’ importante questa considerazione perché allora il numero normale è da rapportarsi ai danni che l’uomo è disposto a sopportare”.
“I lupi – scrive Boitani – causano danni al bestiame domestico, non c’è dubbio, ma da sempre la pastorizia tradizionale appenninica ha accettato una piccola e inevitabile quantità di danni. Oltre quella soglia, scattava la caccia al lupo. Ecco, sarebbe bello leggere che una Regione ha fissato, nel pieno esercizio delle sue prerogative politiche, il numero massimo di danni che è disposta a pagare ogni anno a causa dei lupi. Oltre quella soglia, scatterà la riduzione dei lupi. Ma non bisogna chiedere solo all’allevatore che pretende di fare pascolo brado in terra di lupi, per lui la soglia è zero: come chiedere a un vegano di decidere quanti mercati possano vendere la carne. In un dibattito democraticamente corretto, sono certo che la stragrande maggioranza della cittadinanza fisserebbe la soglia talmente in alto da evitare qualsiasi caccia per molto tempo”.
“E i cervi – dice Boitani – che sicuramente in molte aree italiane sono a densità molto alte (ma normali per quelle condizioni ambientali!), quanti danni effettivamente comportano in termini di distruzione dei raccolti e incidenti stradali in ogni provincia e quanti sono i danni che ogni provincia è disposta a tollerare? La risposta può venire solo da un confronto democratico e una decisione politica, non è una questione tecnica. La risposta potrebbe anche essere zero, confermando la perniciosa tendenza umana a sentirsi il padrone del mondo ma di certo troverebbe una forte opposizione. Ma sono quasi certo che la soglia sarebbe, anche in questo caso, piuttosto alta”.
La conclusione, allora, è che “non sono cervi, lupi, orsi, eccetera ad essere o meno “troppi”, sono i loro effetti sulle proprietà dell’uomo che è disposto a tollerarli solo entro certe dimensioni”. Ma allora, scrive Boitani, “è possibile sapere quanti e quali sono i danni che una regione o provincia ritiene insopportabili al punto da decidere la rimozione di un certo numero di animali?”: una domanda a cui nè quella regione (che potrebbe anche essere il Veneto), nè quella provincia (che potrebbe anche essere il Bellunese) potranno rispondere se non sulla base di un confronto democratico che misuri il livello di “tollerabile convivenza” espresso dall’intera popolazione e non da piccole porzioni di essa, un confronto che, in un contesto civile, è l’unico percorso in grado di esprimere una soglia legittima.