Solo quest’anno è il quarto e non sarà certamente l’ultimo cane che arriva in rifugio a causa di coniugi che non trovano una soluzione per accudire quello che, prima della separazione, era il miglior amico della coppia.
Nel caso di Napoleone (il nome è di fantasia per evitare ogni riferimento), una volta avviata la procedura di separazione, al simpatico meticcio nessuno era più disposto a dedicare tempo e cure e l’unica soluzione a cui i “separandi” hanno saputo pensare è stata l’abbandono in rifugio, dove fortunatamente è rimasto solo pochi giorni.
Quando una coppia si separa, è raro che il cane non diventi immediatamente “un problema”. Lo diventa nel caso in cui i due coniugi si contendono l’affidamento, ma anche quando il coniuge a cui il cane è intestato presso l’anagrafe canina non è, in realtà, la persona a cui l’animale è maggiormente affezzionato. E può diventare un problema anche quando la ex-coppia si affida al giudice, che, seppur animato dalla volontà di prendere una decisione nell’interesse del cane, a volte dispone affidamenti congiunti quasi ingestibili o stabilisce, con una logica assai “umana” ma poco etologica, che il gatto segua semplicemente i figli in affido.
In Italia, il più recente progresso culturale e giuridico nella delicata questione dell’affido risale al 2008, quando il tribunale di Cremona – forse ricordando una sentenza del 2002 del tribunale di Pescara – a motivazione di un affido congiunto, si spinge ad affermare che “tutte le garanzie che sono previste per l’affido condiviso dei figli minori siano specularmente applicate per i cani”.
Il principio è chiarissimo, ma non basta per tutelare definitivamente le “buone ragioni”gli animali: c’è, infatti, una corrente di pensiero opposta che, nel 2011, porta, ad esempio, la IX sezione civile del tribunale di Milano ad affermare che non è “compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa“.
Ciò che servirebbe è una legge del parlamento che fissi il principio e definisca il percorso corretto e giusto per determinare quale tra i possibili affidamenti sia quello etologicamente corretto per il benessere del cane. Lo aveva capito già nel 2009 la senatrice Franca Chiaromonte (PD) che, infatti, aveva proposto di introdurre nel nostro codice civile un nuovo articolo specificatamente dedicato all’”Affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi”, che così recitava: “In caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dall’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio”.
Come troppe volte accade quando si tratta di diritti civili degli animali, non se ne fece nulla né nel 2009 e neppure nel 2013, quando la deputata Michela Brambilla (FI-PDL) ripropose una soluzione analoga.
Anche per i cani e i gatti meglio sarebbe, dunque, che i coniugi dimostrassero di saper decidere da soli nell’interesse dell’animale: ma quando la separazione fa uscire il peggio dalla ex-coppia, i figli a volte si salvano, ma gli animali diventano rapidamente le prime vittime!