Locuzioni e modi di dire irrispettosi del cane

Locuzioni e modi di dire irrispettosi del cane

Scriveva il critico letterario, linguista e semiologo francese Roland Barthes, in Critica e verità: “Nulla è più essenziale a una società che la classificazione dei suoi linguaggi. Cambiare questa classificazione, spostare la parola, è fare una rivoluzione”.

Dunque, chissà se riusciremo mai – anche come semplici amanti dei cani e degli animali – a “spostare la parola cane”, che la lingua italiana associa quasi sempre ad espressioni offensive e degradanti (non a caso, “cane” entra nelle bestemmie più diffuse): infatti, secondo l’Enciclopedia Treccani, “in senso figurato la parola cane indica una persona di animo cattivo, spietato (quel c. del capobanda), oppure incapace nel lavoro, nell’attività che svolge (il mio dentista è un c.; quel cantante è veramente un c.), mentre in frasi negative, in particolare con verbi che indicano presenza, il termine cane significa nessuno, nessuna persona (al convegno non c’era un c.). Qualche esempio tra i più diffusi secondo i dizionari disponibili online? Eccoli:
cane sciolto: persona (spesso un politico) che rifiuta di seguire le norme della società o del consesso
da cani: malissimo, detto sia di una situazione difficile o dolorosa, sia di un’attività eseguita molto male
essere come cane e gatto: essere in continuo disaccordo
essere un cane: detto di persona ignobile, spregevole o crudele, ma anche di una persona maldestra o incapace o menefreghista
figlio di un cane: insulto per una persona spregevole, disonesta o comunque detestata, alla quale si rifiuta l’appartenenza al genere umano
menare il can per l’aia: tergiversare, temporeggiare, perdere tempo
non esserci neanche un cane: non esserci proprio nessuno
povero cane: detto di persona per la quale si prova compatimento, pietà, ma anche di persona incapace o a cui non è il caso di badare più di tanto
svegliare il can che dorme: mettersi nei guai o causare una situazione spiacevole per avere inutilmente stuzzicato, provocato, o molestato persone suscettibili, oppure per aver sollevato questioni delicate
trattare come un cane: trattare malissimo o con modi villani.

E con “lupo” va meglio? Figuriamoci. “In bocca al lupo” è un’usatissima locuzione con funzione apotropaica, in pratica una formula di augurio equivalente a “buona fortuna” alla quale però si deve sempre rispondere “crepi”, ovviamente riferito al “lupo” e mai e poi mai con un “grazie” perché si perderebbe l’effetto magico dello scongiuro! Locuzioni riconducibili al mondo atavico della caccia e alle primordiali credenze sulla buona e la mala sorte, che però hanno attraversato i secoli per arrivare immutabili ai nostri giorni, dove i cacciatori – insieme ad allevatori (non tutti per fortuna) e a politici che pensano che l’etologia sia qualcosa che ha a che fare con il prosecco – continuano ad augurare al “lupo” di “crepare”!

Qualcuno – forse gli amanti degli animali? – dovrebbe smettere di utilizzare queste espressioni – aggiungerei anche l’insopportabile parola “quattrozampe” o la locuzione “migliore amico dell’uomo”, chiaramente legate alla cultura antropocentrica – e usare nel linguaggio di ogni giorno espressioni più rispettose nei riguardi non solo del cane e del lupo, ma anche del gatto (Fare la gatta morta) del maiale (Essere un maiale), della gallina (Avere un cervello di gallina) e di ogni altro animale non umano (Andare in bestia). Roland Barthes era convinto che la rivoluzione possa cominciare dalle parole…