E’ stato in rifugio per un paio di mesi, accolto da APACA perchè considerato “ingestibile” dal proprio padrone: era un cucciolo in trattamento con fluoxetina, meglio nota col nome commerciale di Prozac!
Con l’ingresso in rifugio è iniziata per lui una nuova vita: nell’arco di 3 settimane è stata progressivamente eliminata la somministrazione di fluoxetina, mentre in contemporanea è stata svolta una minima attività di educazione comportamentale e, quando al rifugio si è presentata una famiglia di Belluno disposta a seguire un percorso che avesse come obiettivo il riequilibrio emozionale dell’animale, per il cucciolo il futuro si è tinto di rosa. Ora vive con questa nuova famiglia che ha anche un altro cane adulto, diventato subito un compagno di giochi, ma col quale il nostro amico trascorre anche molte ore in assoluto e piacevolissimo ozio!
Per APACA l’incontro con un cane in trattamento con antidepressivi non è proprio una rarità, anche se la frequenza non raggiunge di certo i livelli di allarme.
Ma come mai si arriva a somministrare fluoxetina a un cane e, addirittura, a un cucciolo?
La nostra esperienza ci dice che, di solito, si parte dalla gravissima negligenza di scegliere un cane senza la piena conoscenza e consapevolezza delle caratteristiche della razza. Un terrier o un beagle, ad esempio, sono per loro natura vivacissimi ed è quindi etologicamente “normale” che non possano passare troppo tempo da soli, inattivi e senza poter canalizzare le energie in attività stimolanti.
Un altro grave errore lo si compie quasi regolarmente nel momento in cui si fa una diagnosi comportamentale: molti professionisti (ma per fortuna ci sono delle eccezioni!) pensano al benessere dell’umano piuttosto che a quello del cane e compiono scelte paragonabili a quelle di chi, nella psicoterapia infantile, decidesse di guardare al benessere dei genitori (che magari non gradiscono un figlio troppo vivace a scuola) e non a quello del bambino.
E, infine, c’è il ricorso allo psicofarmaco anche quando basterebbe lavorare sul rapporto cane-padrone: certo costa molta più fatica seguire un percorso di rieducazione comportamentale, ma il ricorso ai farmaci non può mai essere una scorciatoia accettabile, anche perchè le conseguenze sulla salute psico-fisica del cane sono davvero significative.
Sarebbe far torto al cane (e al gatto) escludere che esistano malattie mentali che possono colpire anche i nostri amici (escluderlo equivarrebbe, infatti, a negare l’esistenza di una mente in cervelli intelligenti): ma, come per gli umani, anche per i cani e i gatti il farmaco non è mai l’unica e risolutiva risposta ad una domanda di aiuto. Di questo siamo davvero sicuri.