Le tastiere sonore e il diritto del cane ad essere sè stesso
A metà 2024, il gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università della California ha pubblicato alcuni risultati dello studio iniziato nel 2020 sull’uso da parte di un nutrito gruppo di cani di proprietà delle tastiere sonore dotate di pulsanti (pulsantiere o soundboard) che riproducono le parole necessarie a comporre semplici frasi. Le prime conclusioni a cui è giunto il gruppo di ricerca sembrerebbero dimostrare che le risposte date dai cani attraverso i pulsanti premuti siano appropriate e ciò a prescindere dalla persona che pone le domande (proprietario o un estraneo) e anche senza che dall’ambiente circostante provengano altri segnali relativi a quella parola (ad esempio una porta che si apre se il cane pronuncia la parola “uscire”). Insomma, potrebbe essere l’inizio di un percorso che porterà i cani a parlare la lingua degli umani, dando prospettiva di concretezza al sogno (umano) di un linguaggio comprensibile a specie diverse (che, guarda caso, sarebbe il linguaggio umano).
Negli ultimi anni i dispositivi Augmentative Interspecies Communication (AIC) sono diventati popolari tra i proprietari di animali domestici – soprattutto statunitensi, ma non solo – che utilizzano in particolare le tastiere sonore con pulsanti, i quali, quando premuti, producono parole preregistrate dal proprietario. Video virali postati sulle principali piattaforme social e il documentario “Nella mente di un cane” in catalogo Netflix stanno prospettando ai proprietari la possibilità che, in un prossimo futuro, il cane possa dire al veterinario qual’è la zampa che gli fa male o manifestare a parole, magari più volte al giorno, il suo amore per il compagno umano.
In un lungo articolo sul New York Times del 6 gennaio scorso, Camille Bromley riporta anche l’opinione di Alexandra Horowitz, docente della Columbia University e notissima tra gli animalisti (e non solo) per i suoi libri sugli aspetti cognitivi delle menti di esseri umani, rinoceronti, bonobo e, appunto, cani. L’opinione di Horowitz è chiara: “I cani fanno già così tanto per adattarsi alle nostre vite. Devono chiederci se vogliono urinare. Socializzano nei nostri orari. Camminano dove vogliamo noi al guinzaglio. Apparentemente, l’interesse nell’avere cani è dovuto al fatto che sono un’altra specie. C’è qualcosa di sconosciuto in loro, ed è meraviglioso. Perché ci sforziamo di costringerli a indossare vestiti e a parlare la nostra lingua?”
Dunque, la logica delle tastiere sonore rischia di essere la stessa che produce gli inaccettabili comportamenti di umanizzazione che molti cani subiscono a dispetto della loro dignità: ne consegue che l’uso delle tastiere sonore può essere solo un divertente passatempo per il cane e per il compagno umano, un passatempo che può ambire a diventare, al massimo, un gioco di attivazione mentale se condotto nel rispetto pieno dell’animale e del suo diritto ad essere sé stesso.
Poiché è inaccettabile e fuorviante che il dialogo tra uomo e cane si fermi alle parole, molto più interessante, nell’ottica del rispetto interspecifico, è la prospettiva ventilata da uno studio cinese, che suggerisce la concreta possibilità che i cervelli dei cani e degli esseri umani siano in grado di sincronizzarsi quando si guardano l’un l’altro negli occhi: è il cd. accoppiamento neurale che porta due esseri umani che stanno conversando ad allineare la loro attività cerebrale. E’ un fenomeno conosciuto anche nei topi, nei pipistrelli, nelle scimmie e in altri primati, ma sarebbe la prima volta che si registra tra esseri di specie diverse. Ma con il cane tutto è possibile, perché è proprio l’eccezionalità del suo legame con l’uomo che potrebbe permettere anche l’allineamento dei loro cervelli!