“La Beniamina di tutti, ecco cos’ero io, qui al rifugio. E questo per due motivi: primo, la mia terribile storia personale e, secondo, il mio carattere dolce, timido, pauroso. Vista la paura che avevo del mondo esterno e delle persone che non conoscevo, dissero che non mi avrebbero affidato a nessuna nuova famiglia ed è così che in rifugio ho trovato la mia famiglia allargata! Per molto tempo il rifugio è stata la mia casa, dove ero coccolata e adorata da tutti, e baciata e accarezzata e spazzolata… Grazie di tutto…”
Forse scriverebbe questo Lilly, la dolcissima setter che a 15 anni ha deciso che non era più il caso di vivere: troppi malanni, troppo disorientamento e anche poca dignità in quel corpicino consumato dall’età che pur sapeva sprigionare ancora qualche energia. L’eutanasia serve a questo: a evitare accanimenti terapeutici e inutili ed incomprensibili sofferenze.
Lilly aveva da poco compiuto un anno e mezzo quando il cacciatore-padrone decise di disfarsi di lei perchè inadatta alla caccia. Finita in rifugio, venne adottata dopo alcuni anni da una famiglia che sicuramente le voleva bene, ma le chiedeva di stare parecchie ore al giorno in un negozio, a contatto con estranei che lei temeva al punto da immobilizzarsi in un angolo. Trascorse alcuni mesi “appiccicata” ad una delle figlie, con cui divideva anche la camera, dalla quale non voleva praticamente uscire mai, dato che anche le brevi passeggiate per i bisogni scatenavano reazioni d’ansia. Una vita impossibile per tutti: fu allora che Apaca, d’accordo con la famiglia, decise di riprendere la cagnetta al rifugio e alcune volontarie ricordano ancora quando Lilly arrivò al canile e manifestò con corse, balzi e coccole tutta la sua felicità d’essere ritornata in un luogo dove, evidentemente, si sentiva al sicuro.
Passato qualche anno, una nuova famiglia chiese di adottare Lilly e anche il suo compagno di box, un altro setter col quale Lilli aveva molto feeling. Apaca ritenne che un tentativo andasse fatto, soprattutto in considerazione del fatto che nella nuova casa c’erano un grande box e un bel giardino, nei quali Lilly avrebbe potuto replicare la convivenza con il suo compagno. Mentre l’altro setter si ambientò presto alla nuova sistemazione, Lilly non si rassegnò e, dopo una prima fuga conclusasi con il recupero, decise di scappare nuovamente: questa volta nessuna la trova, nessuno la vede, sembra davvero scomparsa nel nulla! Cominciò così una ricerca giornaliera da parte di alcuni volontari e volontarie di APACA, che percorsero in lungo e in largo il territorio che va da Limana a Ponte nelle Alpi, trascorrendo anche qualche notte in appostamenti vicino ad abitazioni dove veniva segnalata la presenza di un setter che di notte mangiava le crocchette dei gatti. Tutto il territorio venne disseminato di avvisi e fotografie, ma passarono due mesi di freddo e neve senza che le volontarie riuscissero neppure a intravvederla, finchè una mattina arrivò all’APACA una telefonata del canile sanitario che avvisava di aver recuperato Lilly gravemente ferita e in forte stato di denutrizione, dopo che una passante l’aveva notata in una cunetta vicino al cimitero di Cusighe.
Le condizioni erano davvero disperate e Lilly, che sicuramente non aveva mangiato da parecchie settimane, restò in pericolo di vita per vari giorni, subendo anche un intervento chirurgico, complesso e rischioso, per una frattura esposta alla zampa posteriore destra, che il veterinario riuscì a salvare dall’amputazione.
Tre volontarie di APACA – Dina, Nerea e Serenella – si occuparono per quattro mesi di medicare, curare e sostenere Lilly tutti i giorni, recandosi in rifugio ogni tardo pomeriggio e, nella fase finale, garantendo anche un’attività di riabilitazione dell’arto che, gradualmente, riprese una seppur parziale, ma sufficiente funzionalità. Le tre volontarie riuscirono anche a dare motivazione alla cagnetta, che passò da uno stato di prostrazione e apatia ad una buona interazione, mangiando, camminando e, soprattutto, chiedendo in continuazione un contatto fisico che producesse coccole.
Da allora Lilly è rimasta sempre in rifugio, ma non ha mai dato segno di tristezza: per lei i volontari erano davvero la sua vera e unica famiglia, l’unica in grado di darle quella sicurezza e quella serenità che, nel mondo esterno, Lilly non aveva mai potuto trovare.