“Le mie bambine hanno giocato con Max quest’estate in spiaggia: un cane buonissimo e molto educato” (foto). A raccontarlo è una mamma bellunese ed il cane a cui fa riferimento è il protagonista della vicenda riportata dalla stampa nazionale e che dovrebbe davvero far riflettere quanti continuano ad alimentare il traffico di cani dal Sud senza sentire l’esigenza di conoscere e approfondire la particolarissima situazione dei “cani liberi”.
Da una decina d’anni Max si aggira nel centro di Taranto, ma lo scorso autunno, a seguito di una segnalazione, è catturato e portato nel canile comunale. Viene lanciata una petizione per “liberarlo”, sottoscritta da migliaia di cittadini che conoscono Max come un cane di assoluto equilibrio, allegro, giocoso e mai invadente e men che meno aggressivo. Il sindaco firma l’ordinanza che “libera” Max e lo fa diventare ciò che già era di fatto: un cane di quartiere, regolarmente accudito dalla gente del rione Borgo, che si occupava e continuerà ad occuparsi anche di dargli da mangiare.
Il “cane libero accudito” non è un randagio, ma una figura prevista dalla Circolare n. 5 del 14 maggio 2001 del Ministero della Sanità e da alcune leggi regionali di attuazione della Legge Quadro n. 281/91: viene microchippato e sterilizzato e torna libero nel quartiere da dove proviene, affidato a un tutore, che, di regola, può occuparsi di un solo esemplare. La proprietà è del comune, ma del cane si occupa la gente: sfamandolo, facendolo entrare nei giardini o mettendogli a disposizione un riparo o semplicemente lasciandolo vivere in libertà. C’è anche chi va oltre: il comune di Maruggio (TA), ad esempio, anzichè rinchiudere i cani in canile ha messo per loro delle cucce in legno da utilizzare liberamente.
Cani come Max non hanno nulla a che vedere con i “cani padronali” lasciati vagare per le città del Sud, spesso ammalati, quasi mai sterilizzati e responsabili di molte di quelle cucciolate che poi arrivano al Nord. Max non c’entra nulla con il randagismo: è piuttosto – insieme all’acculturazione e alla sensibilizzazione della popolazione e alla “legalizzazione” dei canili – un esempio di come si possa costruire una via d’uscita dal fenomeno. Mentre non è una via d’uscita – in primo luogo per i cani stessi – trasferirli dalle città e dalle campagne del Sud negli appartamenti, nel traffico, tra i rumori e le soffocanti attenzioni e pretese delle molte famiglie del Nord che li scelgono su internet.