Il 54% degli italiani la mangerebbe, ma neanche cani e gatti possono
La maggioranza dei consumatori in Francia, Germania, Italia e Spagna vuole che i governi appoggino metodi di produzione alternativi agli allevamenti industriali, metodi che contrastino il cambiamento climatico ed evitino a miliardi di animali vite orribili e morti orrende negli allevamenti intensivi.
Sembrerebbe pacifico che nessuno voglia sentirsi dire cosa può o non può mangiare, ma in Italia sta succedendo proprio questo: vietando la carne coltivata – per proteggere prodotti considerati di «rilevanza strategica per l’interesse nazionale» – si è, di fatto, impedito che si sviluppi la ricerca, che qualcuno decida di investire, che nascano start-up e che, alla fine, la maggioranza degli italiani – esattamente il 54% – abbia a disposizione un’alternativa (alimentarmente sicura) alla carne prodotta negli allevamenti intensivi a logica industriale, un’alternativa che potrebbe tranquillamente convivere con i prodotti pregiati di provenienza locale o con i produttori bio, di cui – per ragioni culturali, storiche, gastronomiche ed economiche – è inimmaginabile la scomparsa.
Non così altrove: a Singapore, negli Stati Uniti, in Israele e nei Paesi Bassi la carne coltivata (chiamata “carne sintetica” da chi vuol solo giocare sull’ignoranza e incutere rifiuto) è una realtà, mentre in Germania e Francia si finanziano studi e ricerche sul tema con l’intento di dare al consumatore un prodotto sicuro. Nel Regno Unito la carne coltivata sta, invece, per diventare una realtà per cani e gatti: entro fine anno, infatti, si prevede che saranno commercializzati per loro alimenti a base di carne coltivata in laboratorio.
Peccato che i cani e i gatti italiani non potranno, invece, approfittare di un prodotto a cui la conoscenza scientifica riconosce almeno tre caratteristiche non proprio di poco conto: una migliore qualità dal punto di vista nutrizionale, l’assenza certa di antibiotici e l’impossibilità di trasformarsi in veicolo di malattie alimentari, tre elementi che non si può dire caratterizzino gli alimenti a base di carne proveniente da allevamenti di animali, dove si utilizzano in abbondanza antibiotici, ormoni, pesticidi e altri farmaci per assicurararsi il business. Cani e gatti italiani condivideranno, in fondo, la stessa sorte che tocca agli animali umani italici, anch’essi – come detto – privati del diritto di scegliere cosa mangiare da una scelta governativa che, alimentando il timore (del tutto infondato e irrealistico) della scomparsa degli allevatori e della carne che tutti conosciamo da sempre, ha optato per un divieto che ci rende tutti (animali umani e non) un po’ meno liberi e anche meno ottimisti sul futuro dei nostri figli su questo pianeta.