“Freccia” e’ il Racconto di aprile

“Freccia” e’ il Racconto di aprile

L’amore grande di una ragazza e di un cane.

Separati dalla sorte, si cercheranno disperatamente e il trovarsi supererà la realtà.

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Freccia

Lo vedeva correre libero e veloce sull’erta erbosa.

Il corpo massiccio e muscoloso, eppure così leggero nella corsa, le sembrava una dichiarazione d’amore alla vita, ad ogni uscita lui con tutti quegli andirivieni faceva almeno il doppio della strada che faceva lei.

Instancabile. Felice.

Quando lo richiamava per rimettergli il guinzaglio lui era sempre un po’ recalcitrante ma infine collaborava.

Avvertiva sempre una piccola stretta ansiosa, proprio lì, alla bocca dello stomaco, quando non lo vedeva arrivare galoppante al suo richiamo, un lungo e sottile fischio che immaginava come un filo d’oro invisibile che li collegasse, che li tenesse uniti.

La prima volta che lo aveva visto aveva piantato gli occhi nocciola nei suoi con una espressione che a lei era parsa interrogativa e sfrontata.

Era stato amore a prima vista.

Un cucciolo meticcio dal musetto arrotondato e dalle grandi orecchie, le grosse zampette già preannunciavano che sarebbe stato almeno di media taglia. Il manto morbido e folto di colore marron scuro e gli occhi contornati da una striscia di pelo quasi nera, lo rendevano praticamente irresistibile.

Lo aveva preso con sé e da allora era diventato il suo compagno di scorribande nei boschi e anche, in qualche modo, il suo confidente.

Se ne prendeva cura con affetto e dedizione e cercava di dargli una buona educazione in modo da non sentirsi a disagio quando erano in compagnia di altre persone e animali.

Lo aveva chiamato Freccia per il carattere allegro e la velocità e potenza della sua corsa.

Erano passati quattro anni dal loro primo incontro, ma la tenerezza e l’incanto che lei provava quando lo vedeva semplicemente vivere accanto a lei e la delicata irruenza con la quale Freccia le manifestava il suo amore non erano cambiati.

Di lei lui apprezzava le coccole, i mangiarini che gli preparava, come gli spazzolava la folta pelliccia, il suo odore, i premietti, le corse sfrenate nei boschi, il suo saperlo aspettare anche se intuiva che a volte si preoccupasse un po’. Se avesse avuto la capacità di parlare nella sua lingua l’avrebbe rassicurata sarebbe sempre tornato a casa, da lei.

Del mondo amava gli odori, strofinarsi nelle macchie di neve, mangiare, correre, ululare alla luna, coprire le tracce odorose di altri animali, marcare il territorio, svuotare gli intestini, riposare davanti al fuoco, dormire mentre lei cantava. Eh sì perché lei sapeva cantare.

Aveva una voce delicata e profonda che arrivava dritta dritta al suo cuore di cane innamorato. Innamorato di lei e della vita.

Eppure una volta si erano persi di vista, lo ricordava ancora come un episodio di spaventosa assenza.

Durante una passeggiata in pieno inverno si era perduto nel bosco seguendo le tracce odorose di un cervo. Era determinato a scovarlo e talmente preso da quella festosa caccia da non essersi reso conto del tempo trascorso. Inerpicandosi sempre più, aveva raggiunto il limitare della zona boscosa là dove viene rimpiazzata dalla pura roccia.

Solo a quel punto si era accorto di essere solo. Lei non gli era accanto.

Aveva cercato disperatamente di ritrovare la pista tracciata dal suo odore ma non c’era stato niente da fare, ad un certo punto la traccia si interrompeva e lui se ne stava con il naso proteso ad annusare l’aria, la bocca spalancata e la lingua penzoloni da quanto aveva corso.

Si fermò lungo un torrente, laddove si era formata una piccola pozza d’acqua, per esaudire la sua sete. A mano a mano che calavano le tenebre si sentiva sempre più affamato e stanco e sperduto, i suoi latrati avevano riempito l’aria nel tentativo di farsi ritrovare, ma non era servito a nulla.

Nel freddo della notte invernale trovò riparo tra le forti radici di un larice e lì, avvilito, si accoccolò con il muso tra le zampe.

Le voci del bosco parlavano nella notte buia ai suoi ricordi ancestrali, di libertà sfrenate, ma nel profondo del suo cuore percepiva l’assenza di lei come una dolorosa ferita.

Si addormentò.

E mentre il bosco vegliava i suoi sogni di cane smarrito c’era chi, a valle, non si dava pace.

Era quell’ora che preannuncia il sorgere del sole, tra il buio che va scemando e il presagio di una pallida luce, quando lui avvertì un fischio familiare. Lungo e dolce.

Il suo cuore si mise a battere forte come il rombo di un tuono, drizzò le orecchie e restò in attesa. Allora la sentì.

Il suo canto melodioso lo raggiunse travolgendolo e guidandolo verso di lei.

Una lunga e folle corsa precedette un incontro fatto di pelo bagnato, odore di muschio, calore di corpi, abbracci e carezze, parole sussurrate, lacrime e mugolii.

Il nodo d’ansia e preoccupazione si era sciolto in entrambi i cuori mentre lui attento seguiva i piedi caprini di lei, l’Anguana dei boschi.

Chiara Matterazzo
aprile 2018