I cani dei separati

I cani dei separati

A volte contesi, a volte sballottati, non sempre felici

E’ frequente che Apaca sia contattata da coppie che si separano e hanno un “problema con il cane” oppure da genitori separati che hanno pensato bene di regalare al proprio figlio un cucciolo (magari per compiacerlo e ingraziarselo) ma poi, improvvisamente, hanno “un problema con il cane”.

Da molti anni, nel questionario di preaffido che viene somministrato all’aspirante adottante abbiamo inserito una specifica domanda relativa proprio alla sorte che il cane avrebbe nel caso di separazione: è un modo per far riflettere la famiglia su una circostanza che quasi nessuno prende in considerazione nel momento felice dell’entrata in casa di un cane. Costretti a pensarci, alcuni si dicono certi che, nell’eventualità, ci sarà un affido consensuale, altri che sarà affidato al coniuge che se ne è occupato di più, qualcuno ritiene poi che la soluzione sarà l’affido al coniuge a cui il cane è intestato in Anagrafe canina, mentre non pochi si dicono sicuri che troveranno un parente o una persona di fiducia a cui affidarlo oppure che ci penserà il giudice.

Quando però arriva il momento di decidere accade al cane ciò che spessissimo succede al figlio: diventa uno strumento di ricatto o un impegno troppo gravoso o una presenza che è stata voluta da uno ma non da entrambi ed è così che l’accordo non si trova e il giudice deve disporre anche sull’affidamento del cane.

La strada da percorrere l’aveva indicata una proposta di legge che risale al 2013 e che suggeriva l’introduzione di una nuova norma civilistica, secondo la quale “in caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti del comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantirne il maggiore benessere”. La proposta è rimasta tale e attualmente non esiste una disposizione di legge che regoli l’affido degli animali da compagnia nei casi di separazione dei coniugi. E’ così che che, nelle separazioni giudiziali, le interpretazioni dei giudici di merito sono state le più diverse: talvolta, si sono spinti fino ad imporre la restituzione dell’animale al coniuge a cui era intestato in anagrafe canina, mentre in altre occasioni hanno preso in considerazione il diritto del cane al benessere e disposto o l’affido al coniuge con il quale si era instaurata la relazione affettiva più significativa oppure, sempre più spesso, l’affidamento congiunto, con l’obbligo per il cane di rimanere presso i domicili di ciascuna delle parti, con alternanza settimanale o per altra periodicità anche concordata fra gli ex coniugi.

La tendenza che si sta affermando è, dunque, quella di applicare in via analogica quanto viene praticato per i figli minori. Ma è una tendenza non condivisibile e che andrebbe corretta.

Infatti, è sbagliato pretendere che il cane si sposti da una casa all’altra, perchè ciò di cui ha etologicamente bisogno è un territorio, una routine e un compagno umano (adulto e non il figlio minorenne che magari viene spostato insieme al cane) che gli dia stabilità e sicurezza. L’art. 315 bis, terzo comma del codice civile prevede che “il figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”, ma per il cane nulla di analogo è previsto, mentre sarebbe sicuramente d’aiuto al giudice una valutazione di un medico comportamentalista o almeno di un educatore cinofilo che potesse decodificare per il giudice i comportamenti emotivi ed affettivi del cane.

Allo stato attuale, dunque, la differenza sembra farla l’intelligenza e l’equilibrio di entrambi i coniugi, che, attraverso la separazione consensuale, hanno la possibilità di decidere anche in merito al giusto e corretto affido del cane che ha vissuto con loro e il cui benessere dovrebbe essere l’unica finalità delle decisioni: ma l’intelligenza è merce rara e nei conflitti lo è ancora di più, per cui – nella latitanza del legislatore – al cane non rimane che confidare in un giudice che abbia la voglia, la consapevolezza e la possibilità di rilevare con gli strumenti più corretti la volontà che l’animale non umano comunica.