Da oggi, giorno in cui ricorre l’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, fino all’11 novembre, data che segna la fine del conflitto, pubblicheremo ogni mese un articolo dedicato alla presenza dei cani in questa strage di uomini e di animali che fu la prima guerra mondiale (1915-1918). Se vogliamo ricordarne il centenario meglio farlo, infatti, con spirito critico e, in particolare, con l’attenzione rivolta a chi non ha avuto la possibilità di scegliere (gli animali, appunto e, nel nostro caso, i cani in particolare): sarà un piccolo contributo alla demistificazione di una narrazione che, quasi sempre, è stata solo celebrativa e, spesso, funzionale alla retorica “nazionalistica”, che assegna demagogicamente alla “grande guerra” il merito di aver contribuito alla nascita della nazione italiana, soprattutto grazie all’affratellamento nelle trincee di soldati che provenivano, per la prima volta, da tutte le regioni del paese. Noi pensiamo, invece, che sia stata soltanto la prima grande follia umana del Novecento, che aprì la strada ai successivi trent’anni di odio e orrore.
E cominciamo con i numeri. Complessivamente, su 74 milioni di soldati coinvolti nel conflitto (provenienti da 30 paesi) ci furono 10 milioni di morti e dispersi, 21 milioni di feriti fra cui 8 milioni di mutilati e invalidi e 8 milioni di prigionieri.
L’Italia perse nel conflitto 1,24 milioni di persone, di cui 651 mila militari (di cui 24.366 furono italiani sudditi austriaci fino al 1918 caduti nelle file dell’esercito austro-ungarico) e 589 mila civili, mentre 500 mila restarono mutilati o invalidi per il resto della loro vita e 40 mila con gravi patologie psichiche per i traumi subiti in trincea. Numeri probabilmente al ribasso, dato che alcune stime portano i morti italiani a 1,78 milioni e quello degli invalidi a 1,3 milioni.
Moltissimi civili perirono, poi, a causa di crimini di guerra, rappresaglie e persecuzioni razziali all’interno dei diversi paesi entrati in guerra e a causa di ben tre genocidi: il “genocidio assiro”, con almeno 275.000 morti, “genocidio greco” con circa 350.000 e, infine, il “genocidio armeno” con l’eliminazione di 1.500.000 uomini, donne e bambini.
I libri di storia non sempre si soffermano su questa carneficina e soprattutto mai ricordano gli animali e il loro ruolo in questa come nelle altre guerre, massima espressione della follia umana.
Nella “grande guerra” furono mobilitati almeno 16 milioni di animali, tra cui 11 milioni di cavalli, 200 mila piccioni e colombi viaggiatori e poi muli, asini, buoi, maiali e oltre 100 mila cani. La Francia ne ebbe in servizio 15.000 (erano solo 26 all’inizio della guerra), la Germania ben 30 mila (erano 6 mila nel 1915) – di cui solo il 10% fece ritorno a casa –, mentre l’Italia impiegò al fronte circa 3.500 cani.
Numeri drammatici, ma forse addirittura lontani dalla realtà, se, come qualcuno ricorda, la sola Russia utilizzò 50 mila cani: è così che il numero stimato dei cani morti sui tanti campi di battaglia potrebbe essere di poco inferiore al milione di esemplari.
Insomma, come ha scritto Lucio Fabi in Guerra bestiale (Persico edizioni), quella che ebbe luogo tra il 1914 e il 1918 fu “una guerra moderna e primordiale che non avrebbe potuto neppure iniziare senza l’arruolamento di massa di milioni di animali”.