Nel mese di giugno inizia la prima delle quattro battaglie che nel 1915 si svolgeranno sull’Isonzo, dove, in questo primo anno di guerra, moriranno complessivamente 62.000 soldati italiani, pari a un quarto di tutte le forze mobilitate.
Nel corso del conflitto, sull’Isonzo e sul Carso si svolsero dodici grandi battaglie tra l’esercito italiano e quello austroungarico, nelle quali si compendia gran parte della Prima guerra mondiale sul fronte italiano.
Il cane sanitario – chiamato all’inizio del secolo scorso anche cane “ambulanza” o cane “infermiere” – accompagnava i barellanti e cercava attorno al conduttore in un raggio di 200 metri, un’operazione che andava fatta di notte e in silenzio. Quando il cane trovava un ferito, riportava un oggetto appartenente al soldato oppure abbaiava in maniera soffocata, facendo capire che la ricerca era andata a buon fine. A quel punto tornava dal conduttore che gli metteva il guinzaglio per essere condotto dal soldato ferito. I tedeschi predisponevano nella divisa un pezzo di stoffa che, in caso di ritrovamento, il cane strappava consegnandolo al conducente cinofilo.
Alcuni di questi cani furono anche in grado di salvare i soldati feriti trascinandoli fino alle proprie linee: il ferito poteva, infatti, attaccarsi a un corto guinzaglio collegato all’imbragatura e farsi trascinare. Prusco, un cane della Croce Rossa francese in un solo giorno salvò oltre 100 soldati feriti, alcuni dei quali trascinandoli di peso.
La veterinaria militare italiana (che nel periodo di massimo impegno contò ben 2800 ufficiali mobilitati, di cui 2600 provenienti dal congedo) dichiarò 600mila interventi chirurgici su quadrupedi feriti o ammalati e 260mila ricoveri. La contabilità dei decessi registrò, invece, 76.000 perdite complessive e tra queste vittime ci sono naturalmente anche i cani.
Ma come si arrivò all’arruolamento dei cani nella Sanità militare e nella Croce Rossa?
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, l’attenzione di alcuni eserciti europei (Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna, Italia,) si riversò sui “dispersi” nelle guerre che erano state combattute nei decenni precedenti: il numero elevato di soldati, probabilmente solo feriti, che nessuno aveva potuto scoprire e soccorrere, spinse alcuni ufficiali a proporre come soluzione al problema l’impiego dei cani. Centri di selezione e addestramento nacquero anche in Italia: agli inizi del Novecento una commissione dell’esercito italiano venne inviata al monastero valdostano sul Mont-Joix per vedere come venivano addestrati i cani dell’Ospizio di San Bernardo. Su indicazione di questa commissione venne acquistato un certo numero di Collie: dalla scuola romana – dopo un paio di prove importanti vicino a Quero (Bl) – partiranno alla volta di Corea, Manciuria e Siberia i cani che – insieme a quelli provenienti da Austria, Olanda, Spagna e Svezia – , per la prima volta nella storia, saranno impiegati in guerra come cani infermieri.
E i cani infermieri erano diversi dal “cane da guerra” che gli eserciti utilizzavano nel servizio di sentinella, di portaordini, di esploratore o per traino. In “The Outlook” pubblicato nel 1907, W.G.Fitzgerald a proposito del cane sanitario scrive: “che non fosse sicuro utilizzare un cane per un lavoro diverso era stato visto nelle ultime grandi manovre tedesche, quando ad un cane ambulanza era stato affidato un messaggio e lui, dopo aver trovato un uomo ferito sul serio per essere stato disarcionato e calpestato in una carica di cavalleria, gli rimase pateticamente vicino, dimenticando completamente il vero compito per cui era stato mandato!”
Per l’esercito italiano, comunque, il cane sanitario – come il cane “staffetta” o “messaggero”- resterà poco più di una sperimentazione, perchè l’Italia, “si dedicò quasi esclusivamente all’uso di cani da traino” (F. Torresan, “Un messaggio dal fronte:il cane staffetta nella prima guerra mondiale”, in K9 Uomini e cani).