I volontari e il primato del cane

I volontari e il primato del cane

Le organizzazioni (d’impresa e non) fanno formazione soprattutto perché attraverso l’ottimizzazione della struttura ottengono maggiore competitività e incremento della produttività, mentre più raramente utilizzano la formazione per motivare i dipendenti e il problem solving.

In Apaca, la formazione è molto semplicemente la principale attività attraverso cui stimolare la crescita delle competenze trasversali e migliorare, così, la collaborazione, l’utilizzo del tempo e, soprattutto, la conoscenza di una dimensione esistenziale e comportamentale (quella del cane) che deve essere prima liberata dagli stereotipi e successivamente arricchita dalle nuove conoscenze dell’etologia e psicologia canina.

Il primo obiettivo che si cerca di conseguire è lo spostamento dell’attenzione del volontario dalla propria individualità a quella del cane: in sostanza, si tratta di indurre il volontario a comprendere e analizzare le motivazioni che lo hanno spinto alla scelta di entrare in rifugio e di spingerlo ad abbandonare progressivamente l’attenzione da se stesso ai cani ospitati, che sono e rimarranno gli unici destinatari della sua attività in rifugio. Sembra ovvio come obiettivo, ma è tra i più difficili da raggiungere, perché spostare l’attenzione da se stessi agli altri non è affatto semplice: eppure è fondamentale, perché una persona che ha appena lasciato il lavoro tenderà a fare troppe cose e tutte di fretta, mentre quella che sta vivendo un momento difficile della propria vita sarà portata a esagerare i contatti con i cani e quella che ha vissuto una recente separazione (anche semplicemente dalla figlia che è andata all’università) spesso non riesce a concentrarsi sulle interazioni. In tutti questi casi, in cui la persona tende a banalizzare le situazioni per renderle meno complesse da gestire (e si ritiene in grado di confrontarsi con qualsiasi cane semplicemente grazie alla propria empatia e al proprio vissuto) non solo aumenta il rischio di incomprensioni con i cani – con effetti indesiderati come il morso – ma le azioni poste superficialmente in atto invalidano di fatto l’aiuto producendo nel cane frustrazioni che lo fanno regredire sul piano comportamentale.

Il secondo obiettivo della formazione è, come detto, il miglioramento della conoscenza etologica del cane, iniziando dalla rimozione dei luoghi comuni, delle abitudini e degli irrefrenabili desideri – come l’uso del tatto nell’avviare un approccio – e, quindi, procedendo alla graduale “scoperta” di individui straordinariamente dissimili tra loro, capaci di giudicare la persona che interagisce con loro e di comunicare una vasta gamma di emozioni e motivazioni che determinano azioni e reazioni. Per molti volontari, questa fase di scoperta apre a un mondo affascinante e molto coinvolgente, dove la diversità è la principale ricchezza, fonte ispiratrice di modelli di vita meno antropocentrici.

Nell’ultimo step del percorso formativo, il volontario affina le competenze e le conoscenze, secondo un indirizzo cognitivo a cui l’associazione fa riferimento in quanto la metodologia più duttile, più innovativa e più rispettosa dell’identità del cane oggi a disposizione della cinofilia. Si tratta di una fase che genera necessariamente una gerarchia all’interno del gruppo, poichè seleziona i volontari in grado di affrontare e gestire le situazioni e le relazioni interspecifiche via via più complesse che si possono presentare rispetto alla platea dei cani ospiti. La capacità del volontario di adattarsi e di accettare i propri limiti e il ruolo assegnato diventa fattore di crescita all’interno dell’organizzazione oltre che stimolo per il singolo a migliorarsi.

Non sempre e non tutti i volontari concludono positivamente questo percorso di ricerca della consapevole gestione del primato del cane come obiettivo dell’agire quotidiano. Alcuni non riescono a rivedere le proprie convinzioni, altri faticano a rinunciare al proprio egocentrismo, altri ancora non accettano la valutazione sulla propria capacità e competenza: quando succede, la risoluzione del rapporto con l’associazione e con i cani del rifugio è la soluzione migliore.