Si chiama così: paradosso della carne. Si verifica in quella gran parte della popolazione che dichiara di amare gli animali e di credere fermamente che meritino protezione e, contemporaneamente, mangia carne.
Il paradosso si manifesta in virtù di quella che, in psicologia, viene definita dissonanza cognitiva, ossia la tensione o il disagio che si prova quando si hanno due idee opposte e incompatibili o quando ciò a cui si crede non corrisponde a ciò che si fa. E poichè la contraddizione tra due pensieri genera malessere, si usa l’autogiustificazione, facendo proprie anche menzogne e ipocrisie, continuando ad agire contro le proprie idee (provare amore per gli animali), ma facendo in modo che questo comportamento moralmente problematico svanisca in un luogo comune.
Potrebbe aiutare a far emergere la dissonanza e spingere a una decisione coerente (amare gli animali e non mangiarli oppure non amarli e mangiarli) sia smettere di fingere che dietro alla cotoletta e alla braciola non ci sia una mucca o un agnello, sia cominciare a pensare che dietro ogni pezzetto di carne, magari lavoratissima (uno stufato ad esempio) e quindi quasi neutra, c’è sempre un animale che brucava, che volava o che nuotava. La stessa cosa andrebbe fatta anche al supermercato: davanti a una confezione che contiene una qualunque massa di carne colorata smetterla di rimuovere il pensiero sull’animale a cui (da vivo) quella massa di carne apparteneva.
In questo contesto, non importa aggiungere elementi esterni come il peso della produzione e del consumo di carne sull’ambiente e sulle emissioni o lo spreco di acqua e suolo collegati agli allevamenti intensivi: dovrebbe bastare la consapevolezza della dissonanza cognitiva in cui si è caduti a risvegliare il desiderio di conguità e conseguenzialità e, quindi, a produrre comportamenti virtuosi.
Insomma, per risolvere la dissonanza tra “amo gli animali” e “amo la carne” basterebbe semplicemente scegliere: o ammettere che, in fondo, gli animali non li amiamo poi così tanto, oppure smettere di mangiare carne. Ovviamente, la via d’uscita da questa scelta eticamente coerente c’è ed è quella di solito preferita dalla peggiore classe dirigente (quella che l’opinione pubblica addita come “un male”): fingere che le due convinzioni non abbiano alcun collegamento e vivere felicemente il paradosso…riuscendo anche ad inorridire davanti alla prospettiva che sul mercato arrivi la carne coltivata in laboratorio!