La grande amarezza di Apaca per una sentenza che non fa giustizia
Quanto vale uccidere un cane strozzandolo, con crudeltà e senza alcuna necessità di difesa e farlo vigliaccamente in gruppo, in modo da essere certi che non possa neppure reagire e scappare? Che differenza c’è tra questo animalicidio e le spranghe e i coltelli usati dalle baby gang e dai gruppi di violenti delle borgate, delle tifoserie, dei quartieri bene o delle tranquille città di periferia per manifestare l’istinto da bulli o la propria superiorità razzista o di genere?
Alla prima domanda hanno risposto il Tribunale e la Procura di Belluno: vale 16 ore al mese di volontariato presso il Comune e 50 euro di risarcimento al proprietario e alle associazioni animaliste che si sono costituite parte civile!
Alla seconda rispondono, invece, le scienze criminologiche e in particolare la Zooantropologia della Devianza, secondo la quale l’animalicidio in età adolescenziale è quasi sempre un segnale anticipatore di comportamenti violenti in età adulta, esercitati soprattutto verso donne e bambini.
“Dal punto di vista giuridico – dice Alessandra Capraro, vicepresidente di Apaca – non ci stupisce che nei confronti di uno dei due giovani che, ad Agordo nel 2019, hanno ammazzato con estrema crudeltà Kaos sia stata emessa sentenza di non doversi procedere perché il reato si è estinto con il compimento di 16 ore di volontariato al mese per 8 mesi e che, allo stesso modo, i giudici, tra qualche tempo, si pronunceranno anche nei confronti del secondo ragazzo. Ciò che ci amareggia è l’assenza di proporzionalità delle conseguenze giudiziarie rispetto alla gravità del reato commesso e il fatto che a tanta violenza il sistema abbia replicato con un’inutile, se non controproducente, banale benevolenza, che mal si addice a reati caratterizzati dalla violenza”.
Assistita dall’avv. Marinella Pasin, Apaca si è costituita parte civile nel processo a carico dei due giovani e regalerà i 50 euro che riceverà dagli imputati a una delle famiglie indigenti a cui già dona cibo per i loro cani. Ma l’associazione vuole utilizzare quest’occasione anche per una riflessione più ampia. “Trovarsi a commentare una sentenza di animalicidio – sottolinea la vicepresidente di Apaca – è comunque il segnale di una sconfitta per tutti. Si arriva ad uccidere gli animali in modi così atroci e violenti perché è il contesto educativo, culturale e istituzionale che non vuole elaborare una cultura del rispetto dell’altro, men che meno, poi, se l’altro è addirittura di una specie diversa: non lo fanno le famiglie e la scuola, che non sorvegliano o sminuiscono le violenze esercitate sugli animali (dal taglio della coda delle lucertole, all’uccisione di uccelli e gatti); non lo fanno i comuni della provincia, moltissimi dei quali neppure dispongono di un regolamento sul benessere animale adeguato alle nuove sensibilità e che raramente mobilitano la polizia locale per maltrattamenti e pessime detenzioni; non lo fanno i politici, che dovrebbero stabilire percorsi formativi obbligatori per i possessori di cani, in particolare per quei soggetti con accentuata aggressività che richiedono proprietari ancora più consapevoli, competenti e rispettosi”. Una rivoluzione del pensiero per cui Apaca continuerà a combattere.