Meticcio “senza valore” curato male: alla padrona anche il danno morale

Meticcio “senza valore” curato male: alla padrona anche il danno morale

E’ davvero una bellissima sentenza quella pronunciata il 13 gennaio scorso dal Tribunale civile di Genova e che, in questi giorni, sta rimbalzando sui blog e sui giornali di mezza Italia.

Il Tribunale genovese ha, infatti, condannato il veterinario – che, eseguendo un intervento chirurgico all’anca a seguito di una diagnosi di “displasia”, ha provocato una lesione al nervo sciatico, causa di una zoppia permanente del cane – a risarcire alla proprietaria di Yuma non solo le spese sostenute (danno patrimoniale), ma anche il danno morale.

Malasanità
Da alcuni anni è comparsa nel web un’intensa attività di denuncia della cd. “malasanità veterinaria”, attività che trova ragion d’essere nel vuoto legislativo in materia di responsabilità nell’esercizio della professione di veterinario.
In parlamento -ed in particolare al Senato- giacciono alcune proposte di legge che propongono una migliore regolamentazione della professione veterinaria, prevedendo precisi obblighi a carico del professionista in tema di visite diagnostiche, di cartelle cliniche, di
reperibilità e pronto soccorso, di requisiti delle strutture veterinarie, di provvedimenti disciplinari. Uno di questi è il ddl n.1482 che è stato depositato il 14 maggio 2014 dalla senatrice Serenella Fucksia (ex Movimento 5 Stelle, oggi nel gruppo Misto) e che attualmente si trova all’esame di ben 11 commissioni.

Così disponendo, il giudice ha profondamente innovato una giurisprudenza che, fino ad oggi ed anche sporadicamente, legava il danno morale soltanto alla morte dell’animale: nel caso di Yuma, invece, il risarcimento viene collegato alla sofferenza della proprietaria che, a causa dell’errore del veterinario, deve rinunciare al suo progetto di vita con il meticcio che aveva adottato dal canile.

Ed è proprio sulla condizione di “meticcio” che si era concentrata l’attenzione del veterinario, secondo il quale la qualità di “bastardino” determinava l’esclusione di ogni diritto al risarcimento morale, perchè il cane è un “bene mobile” (cioè “una cosa”) ed il risarcimento di una “cosa” si calcola sulla base del suo valore (spesso “di mercato”): e siccome il cane in questione non era di razza ed anzi proveniva dal canile, il suo valore era pari a “zero”. Una tesi che il giudice ha respinto “in toto”, sancendo che “proprio perché il cane non è di razza, le aspettative della padrona sono maggiormente amplificate a far si che sia inserito nel contesto familiare a tutti gli effetti, ed è indubbio che nel comune sentire il valore di un animale d’affezione inserito in una famiglia è elevato e cresce nel tempo….“