Solo qualche settimana fa avevamo dato notizia dell’allarme lanciato dal Friuli Venezia Giulia: e pochi giorni fa l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie ha informato che il cimurro è arrivato anche in Veneto e, in particolare, ha già fatto registrare i primi decessi nel bellunese e nel trevigiano.
Si tratta soprattutto di volpi, ma i casi rilevati non sono concentrati soltanto in una zona della provincia, ma sparsi a macchia di leopardo. Anche questa circostanza fa desumere che non si tratti di eventi occasionali (come, ad esempio, transiti di selvatici da est a ovest), ma di ceppi ormai endemici, che finiscono col riproporre ciclamente questa malattia che colpisce volpi, tassi, faine e martore, ma anche i gatti e i canidi, quindi sia i lupi che da qualche tempo sono presenti nelle alpi e prealpi bellunesi, sia i cani di famiglia non vaccinati che entrano in contatto con gli ambienti frequentati dai selvatici.
Non ci sono cure per il cimurro (salvo una proposta terapeutica scoperta nel 1969 dal Dr. Alson Sears, accolta anche da qualche studio veterinario italiano) e per la fauna selvatica (lupi compresi) non è previsto alcun protocollo di intervento in qualche modo paragonabile a quello che, invece, scatta quando si registrano nella popolazione selvatica casi di rabbia, malattia che, a differenza del cimurro, si trasmette all’uomo. Per i cani di proprietà, invece, c’è l’efficace misura di protezione rappresentata dalla vaccinazione, che va richiesta al veterinario di fiducia: peraltro, si tratta di una vaccinazione che andrebbe fatta a prescindere dalla situazione contingente, perchè questa malattia è ancora presente anche nella popolazione canina.