Organizzato dall’Associazione Donne Medico Veterinario, si è svolto qualche giorno fa un webinar sulla ricerca svolta dall’Università di Milano in collaborazione con l’Istituto Europeo dei Tumori che ha coinvolto i cani nella ricerca olfattiva di patologie umane e, nel caso specifico, di tumori polmonari.
La dott.ssa Federica Pirrone docente di Fisiologia ed Etologia degli Animali Domestici ha presentato i risultati dell’attività di ricerca incentrata sull’impiego della capacità olfattiva del cane, che, come è noto, possiede oltre 200 milioni di recettori olfattivi contro i 5 milioni di un naso umano ed è quindi teoricamente in grado di intercettare la firma odorosa di un tumore. Una nuova frontiera che alcuni team stanno ricercando anche perchè, ad oggi, i Breath Tests utilizzati nel determinare i composti organici volatili (VOC) nell’espirato per la diagnosi dei tumori umani sembrano non garantire la necessaria accuratezza diagnostica: da qui l’idea di impiegare nell’intercettazione dei VOC anzichè i “nasi elettronici” quelli dei cani.
Alla fine della sperimentazione il gruppo di ricerca ha dimostrato che i cani (selezionari ed addestrati alla specifica ricerca olfattiva) sono perfettamente in grado di individuare i campioni di soggetti umani malati, superando i nasi elettronici di circa tre ordini di grandezza ed usando tranquillamente le urine, anzichè l’espirato, rendendo in questo modo l’attività di ricerca e determinazione dei VOC più semplice ed affidabile. E tra i tre cani impiegati quella che ha prodotto le performances migliori è stata una meticcia, più precisa ad indiduare i campioni di urina dei soggetti malati.
Ma come finirà? Ci potrà essere un futuro “operativo” per i “nasi elettronici biologici” dei cani? Sembra molto difficile che la sanità accolga questa metodologia, sia perchè la diffidenza della medicina umana verso altre specie non umane (in questo caso, i cani) resta altissima e produce automaticamente una rarefazione dei finanziamenti ai segmenti “interspecifici” della ricerca, sia perchè la tecnologia frutto dell’intelligenza umana (e dei business aziendali) viene preferita ad ogni capacità “biologica” innata. E’ dunque più probabile che la sperimentazione proceda per “stop and go”, che ospedali e istituti non si impegnino a collaborare con le facoltà di veterinaria e che, alla fine, la ricerca tecnologica – magari affiancata da un modello di Intelligenza Artificiale – cerchi semplicemente di riprodurre le capacità olfattive del cane in una “macchina” – o in un software – da impiegare in diagnostica, dimenticando il vero valore aggiunto della ricerca dell’Università di Milano: ossia, che il cane è presente in milioni di case e che il fiutare la malattia con molto anticipo rispetto ai tempi in cui il malato di tumore si sottopone ad esami e accertamenti diagnostici rappresenta una risorsa che andrebbe a vantaggio sicuramente degli individui ma anche del sistema sanitario nazionale, obiettivi che a volte paiono ben lontani dalle strategie di gestione fortemente politicizzate e orientate della sanità pubblica.