Sabato 19 dicembre, la V Commissione Bilancio della Camera ha approvato – in sede referente- un emendamento alla manovra finanziaria che incarica il Ministero della Salute a definire “i casi in cui il veterinario può prescrivere per la cura dell’animale, non destinato alla produzione di alimenti, un medicinale per uso umano, a condizione che lo stesso abbia il medesimo principio attivo rispetto al medicinale veterinario previsto per il trattamento dell’affezione”. In sostanza, viene finalmente riconosciuto il diritto-dovere all’uso del farmaco-equivalente in veterinaria.
Entro il prossimo mese di aprile, il Ministero della Salute stabilirà, infatti, i casi in cui il medico veterinario potrà prescrivere un medicinale per uso umano anche tenendo conto del costo delle cure. E si porrà fine a una vera iniquità, che spingeva quasi il 5% dei proprietari di animali da compagnia a chiedere al proprio medico di famiglia di prescrivere per sé un antibiotico per uso umano per poi usarlo sul proprio animale e l’1,7% ad acquistare illegalmente antibiotici su internet (ricerca Censis per ANMVI, novembre 2020).
L’approvazione dell’emendamento chiude una battaglia che le associazioni animaliste hanno condotto per anni. Dal 2017 anche Apaca ha ripetutamente sollevato la questione e interessato parlamentari e politici, seguendo con attenzione i vari sviluppi che si sono succeduti negli ultimi anni. Un interessamento che nasce dal fatto che si trattava di una questione di grande importanza non solo per le famiglie italiane – per le quali il risparmio, soprattutto di fronte a malattie croniche del proprio animale, potrà essere davvero significativo – ma anche per il benessere degli animali, il cui diritto alla salute e alle cure poteva essere compromesso dai costi eccessivi di farmaci veterinari che persone non abbienti non si potevano certo permettere.
Risolto il problema del farmaco equivalente, restano comunque aperte ancora altre questioni, come ad esempio l’abbassamento del costo dei farmaci veterinari salva vita e per terapie di lunga durata; la possibilità di disporre di confezioni monodose che evitino sprechi e costi inutili; la cessione da parte del farmacista di monoblister di confezioni multi bliter e la possibilità di cedere singole unità posologiche da confezioni aperte. Ma la “madre” di tutte le uiniquità che ancora persistono in materia di cura di cani e gatti è l’iva al 22% su prestazioni, alimenti e farmaci destinati alla salute animale, un’aliquota che può essere accettata per i beni di lusso, ma non per gli animali!