Il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato il 3 marzo scorso una cronaca davvero molto intensa e ricca di spunti di riflessione di Paolo Di Paolo, che merita di essere proposta alla lettura di quanti non hanno avuto occasione di apprezzarla.
“Osservo questa folla di sfrattati dalla geografia e forse anche dalla storia, e mi è impossibile dire chi protegga chi, fra uomini e cani, nella bufera di questo inverno ucraino.
Nella storia della distruzione è un particolare tra centinaia di particolari; nell’affresco spaventoso di una guerra è l’angolo in basso della tela. Da lì sbuca un muso di cane, e ci guarda: con quello sgomento muto che a volte c’è solo negli occhi dei cani. Il cane piccolo e atterrito – però vivo – ritrovato in un’auto con i finestrini distrutti. Il grosso cane dal pelo chiaro che accompagna una famiglia in viaggio verso il confine. E quello che sosta per ore in una stazione, confuso alla folla degli umani, accucciati come lui al freddo. Il randagio che percorre le strade di città sventrate, affamato. L’ospite di un canile abbandonato, che guaisce e sussulta per il rumore dei bombardamenti.
Il canile di Odessa, dicono i volontari delle associazioni animaliste, è irraggiungibile in questo momento. Ecco il cane portato in salvo da qualcuno che per lui ha rischiato la vita. Qualcuno l’ha persa. Il cane rimasto ucciso insieme alla sua famiglia umana – freddata alle spalle mentre era in fuga. C’è una fotografia, terribile, che lo inquadra esanime, nel trasportino inutilmente aperto. A Romanovka, un villaggio ucraino, un uomo ha perso la moglie e i figli, e ha perso uno dei suoi due cani, ritrovato con la zampa amputata. Adesso spera di ritrovare almeno l’altro. Almeno, non sarebbero soli al mondo.
Nella storia della distruzione non sono coinvolti solo gli umani, ma – ha scritto Svetlana Aleksievic, la grande scrittrice bielorussa nata in Ucraina – anche il paesaggio naturale; la guerra lo travolge, lo stravolge, tocca e guasta “l’odore, il colore, il sapore dei dettagli che sostanziano l’esistenza”: “A soffrirne non sono solo loro (le persone!), ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi. Ogni cosa che convive con noi su questa terra. E, oltre a noi, a soffrire erano esseri privi della parola, in un’angoscia aggravata dall’essere muti”.
Così, mi trovo a fissare – fra le ipnotiche e violente e insostenibili fotografie di questi giorni – quelle che ritraggono gli animali domestici ridotti a profughi tra i profughi. C’è anche qualche gatto che sbuca da una borsa, da una coperta. È un dettaglio, è l’angolo in basso della tela, ma dice di una innocenza non umana che l’umanità mortifica, di una sofferenza senza riscatto, quasi incosciente, preverbale, simile a quella dei neonati umani. Osservo questa folla di sfrattati dalla geografia e forse anche dalla storia, e mi è impossibile dire chi protegga chi, fra uomini e cani, nella bufera di questo inverno ucraino. E penso a qualcuno che nelle notti angosciose affonda il viso nel pelo del suo cane, e ne coglie il respiro con la guancia, come un miracolo”.
Per chi fosse interessato al tema del coinvolgimento degli animali nei conflitti bellici umani, è disponibile una raccolta di interventi pubblicati su questo sito in particolare nell’anno di celebrazione del centenario della fine della grande guerra.