Anche quando la violenza e l’odio sembrano non aver fine, la vita può donare una via di fuga e regalare nuovamente la dolcezza del rispetto e dell’amore. Una storia vera, come vere sono le storie di migliaia di cani maltrattati e seviziati che conducono vite disperate all’ombra dei loro aguzzini umani.
“Oltre l’oscurità”
E’ passato ormai un anno e mezzo da quando hai dovuto lasciarci. Avresti compiuto sedici anni proprio qualche giorno dopo. Noi però abbiamo scoperto la tua età e il tuo nome originario solo il giorno in cui sei morta.
Che strana coincidenza! Ci eravamo interrogati tante e tante volte su quanti anni avessi, ma non potevamo che intuirla dallo stato dei denti, piuttosto che dai peli bianchi che comparivano sul tuo muso e, alla fine, avevamo sbagliato solo di un anno.
Hai avuto tre nomi. Il primo, quello che è rimasto celato fino alla tua morte, era Asia, poi ti hanno chiamato Stella e, infine, io scelsi per te Giada.
Tre nomi per altrettante fasi della tua vita.
Dei primissimi anni sappiamo solo che devono essere stati movimentati e non è dato sapere se la tua prima famiglia ti abbia perduto o invece abbandonato sulle colline feltrine. Sappiamo, invece, che chi ti ha trovato e tenuta con sé per un paio d’anni è stata una persona che ti ha fatto soffrire, rinchiudendoti in un pollaio angusto dove potevi muoverti a malapena. Il giovane ragazzo ti picchiava di continuo e la violenza aumentava quando gli stupefacenti ne alteravano ancora di più la mente malata.
La terza fase della tua vita è iniziata proprio una mattina di efferata violenza, quando i genitori chiamarono il 113 denunciando il figlio che già ti aveva ferita con l’ascia in più punti e ti stava inseguendo per finirti. Una volante era fortunatamente in zona e nel giro di pochi istanti il tuo aguzzino è stato immobilizzato e quindi arrestato, proprio un istante prima che ti uccidesse.
Questo rapido intervento, in realtà, fu il primo di una serie di fortunate circostanze che ti aprirono una nuova prospettiva di vita. La prima circostanza riguardò il tuo “salvatore”: un agente che conosceva Apaca e che si prese la responsabilità di portarti al rifugio, dove incontrasti un gruppetto di volontarie (seconda circostanza) che si presero immediatamente cura di te, facendoti visitare e medicare dal veterinario e, poi, curandoti per parecchi giorni sia le ferite del corpo, sia quelle dell’animo, che rifiutava di riporre fiducia in esseri che ti avevano quasi ucciso.
Una di queste volontarie ero io (terza circostanza favorevole), che divenni, naturalmente e ostinatamente, la tua nuova e ultima mamma umana.
Non riuscirò mai a dimenticare il terrore che esprimevano i tuoi occhi. Appena qualcuno si avvicinava, sussultavi nella certezza che, così come era accaduto negli ultimi due anni, qualcuno di noi cominciasse a picchiarti. Il tuo animo, però, era rimasto quello di sempre, dolce e accomodante: non c’era in te nessun tipo di aggressività e anche quando ti medicavamo -sicuramente procurandoti dolore – non ringhiavi, non mostravi i denti e men che meno tentavi di mordere. Semplicemente cercavi di nasconderti nella cuccia e ti assoggettavi a noi con fugaci leccatine, quasi pregassi sommessamente di non farti del male.
A causa della segregazione, i tuoi polpastrelli erano talmente delicati che il solo passeggiare sulla ghiaia del box ti procurava dei tagli profondi, sanguinanti e dolorosi. A giorni alterni tagliavamo l’erba delle aree di sgambamento e ricoprivamo tutta la ghiaia con un bel strato: ci volle quasi un mese perchè guarissi e il tessuto dei tuoi polpastrelli diventasse come quello di tutti gli altri cani.
Durante la tua permanenza in rifugio, la mia dolcissima setter di quattordici anni morì. Fu così che, tra le decine di cani che in quel momento erano ospiti del canile, decidemmo di adottare te: la più sofferente, la più bisognosa di cure, quella che sussultava ad un tono di voce appena più alto, l’essere a cui, con grande pazienza e dolcezza, bisognava tentare di restituire la capacità di fidarsi degli altri, cani e umani che fossero.
E’ proprio vero che l’amore fa miracoli e tu ne sei stata un esempio: a poco a poco hai abbandonato il terrore e la paura e ti sei manifestata in tutto lo splendore del tuo essere.
Non avendo mai vissuto in casa, mi aspettavo che sporcassi, che rosicchiassi le frange del tappeto piuttosto che i cuscini del divano e invece hai subito capito, senza neppure dovertelo insegnare, che i bisogni si facevano fuori e hai subito dimostrato un disinteresse totale per masticare e rovinare le cose.
Le prime passeggiate furono, però, dolorose, perchè emerse subito la tua incapacità di calcolare la distanza dagli oggetti: inciampavi di continuo e addirittura sbattevi contro i lampioni della via. Ti facemmo visitare da un veterinario, sospettando un problema alla vista e, invece, la causa di questa difficoltà era legata solo alla prolungata segregazione nel minuscolo pollaio, tant’è che scomparve dopo un paio di settimane di passeggiate regolari in spazi aperti.
Fin da subito ci colpì la tua gioia di vivere, l’allegria che mettevi in ogni momento della giornata, il tuo grande godimento nell’esplorare, tutte emozioni che si condensavano in una espressione del muso che assomigliava molto a un bellissimo sorriso.
Contrariamente a quanto tutti raccontavano degli husky, avevi un carattere docile ed eri una piacevole compagna di passeggiate, perchè non ti appendevi al guinzaglio e sapevi valutare quando chiedermi maggiore libertà e quando, invece, era il caso di trotterellare al mio fianco.
La tua abilità nell’avvistare ogni più piccolo animaletto ci permise di ammirare caprioli, lucertole, mufloni, scoiattoli, tassi, ranocchi e pure minuscole avicole, che percepivi anche sotto uno strato abbondante di neve, nel quale affondavi la testa dopo un balzo simile a quello che fanno le volpi quando cacciano.
Le condizioni della tua colonna vertebrale, percossa chissà quante volte, non ti permettevano di percorrere i sentieri più ripidi, ma ciò non ti impedì di spaziare in lungo e largo nei boschi e nei prati dove le pendenze erano meno importanti.
Parlavamo con il naso: i contatti affettuosi avvenivano per lo più toccandoci naso a naso, dolcemente, con piccoli tocchi delicati a cui potevano seguire delle leccatine al mio orecchio.
Avevi a tua disposizione una cesta piena di giochi canini, ma l’unico che destava il tuo interesse era un coniglio di lana che non rosicchiavi, né mordevi, ma portavi in giro per la casa tenendolo delicatamente in bocca, proprio come fanno le mamme con i cuccioli, fino a deporlo con un’incredibile dolcezza nella tua cuccia.
Si racconta che gli husky sono esseri frugali, che non amano gli agi e le comodità: tu, soprattutto dopo le lunghe passeggiate invernali, amavi riposarti affondandoti nel cuscinone più morbido che riuscii a procurarmi e non disdegnavi neppure il tepore del caminetto. Evitavi tappeti e materassini solo nel cuore dell’estate, quando il pavimento diventava il luogo più fresco della casa.
La tua straordinaria voglia di esplorare camminando ti ha spinto a vincere anche i dolori dell’età: fino all’ultimo giorno di vita, alla vista del guinzaglio mostravi trepidazione ed entusiasmo, anche se ormai le passeggiate erano ridotte a brevi tratti pianeggianti, percorsi lentamente.
Eri un cane molto orgoglioso: non obbedivi se ti veniva dato un ordine con rigore, ma solo se ti veniva chiesto con dolcezza, non camminavi col muso a terra ma tutta impettita e fiera, rifiutavi ogni aiuto anche quando facevi molta fatica ad alzarti e ti ribellavi quando ti prendevamo in braccio per farti salire in auto. In questo eri davvero, come mi disse una volta un vecchio veterinario, un husky di ceppo antico.
Fin dai primi mesi trascorsi insieme, mi hai trasmesso gioia, allegria e sicurezza: sei stata la compagna migliore che potessi avere in quel momento della mia vita e vederti acquistare, di giorno in giorno, una sempre maggiore serenità mi ha reso anche felice per l’aiuto che ti avevo potuto dare. I dubbi e l’incertezza nell’iniziare un’avventura insieme a un cane a cui molti attribuivano un carattere difficile svanirono in pochi giorni e per tutti gli undici anni di convivenza con te ho ringraziato spesso la vita per aver unito le nostre strade, che la morte ha solo momentaneamente diviso.
Serenella Sereni