“Zona d’ombra”: una nuova storia tra i Racconti in punta di coda

“Zona d’ombra”: una nuova storia tra i Racconti in punta di coda

Un cane che ostenta sicurezza, dominanza e aggressività, a cui gli uomini non piacciono. Un ragazzo che lo avvicina e pazientemente frantuma il muro di diffidenza che il cane ha eretto. Ma quel cane nasconde un segreto, una “zona d’ombra” che improvvisamente si manifesta in tutta la sua drammaticità. Una storia vera, con nomi di fantasia. PDF

“Zona d’ombra”

Non è un cane facile, di quelli che abbaiano poco, che evitano le risse, che si avvicinano a te con garbo, che ti guardano negli occhi dandoti l’impressione di esserci già incontrati.

E infatti ha già guadagnato sul campo i gradi di cane morsicatore, primato che lo ha condotto dritto dritto prima alla segregazione e poi al canile, dove comunque sta molto meglio di dove stava prima!

Peraltro non si sa bene se sia stato legato per anni a una catena cortissima perchè aveva iniziato a morsicare oppure se sia stato proprio il fatto di essere stato legato per anni a una catena cortissima che lo aveva fatto diventare un cane aggressivo e morsicatore: l’ipotesi più probabile è proprio questa, ma ciò non toglie che quando il 19 settembre 2015 arriva nel rifugio di APACA è accompagnato da una fama assai poco rassicurante, che Blanc – così si chiama il cane- conferma appieno nel corso delle prime settimane di permanenza.

Appena sistemato nel box più grande del rifugio – con l’intento di fargli godere subito il massimo della libertà di movimento possibile dopo gli anni dell’imprigionamento alla catena – corre ininterrottamente per giorni lungo il perimetro, schiumando e con i polpastrelli che sanguinano per un uso a cui non sono abituati.

Salta addosso a tutti quelli che entrano nel box: non morde nessun umano, ma una volontaria se lo ritrova, ringhiante, aggrappato alle spalle. Non mangia dalla ciotola, ma rovescia le crocchette per terra con un movimento rapido della zampa e poi le divora in pochi minuti. Non si lascia toccare e non sopporta nessun altro cane che vede passare nei viali del rifugio o muoversi nel box confinante. La sua è un’aggressività complessa: un po’ territoriale, un po’ da paura e anche da irritazione. Non distingue tra maschi, femmine o cuccioli: la sola vista di un altro cane gli provoca subito reazioni violente, che scarica mordendo con violenza i pannelli zincati del recinto. Urina spesso e ovunque, non si fa toccare e, salvo rari momenti di recupero delle forze, è in continuo movimento.

Arrivo in rifugio dopo una settimana dal suo arrivo e lo noto immediatamente: mi piace anzitutto esteticamente, perchè si intuisce che è un bellissimo incrocio con un pastore tedesco a pelo lungo, ma mi attraggono anche il disagio e la sofferenza emotiva che traspaiono da ogni movimento del corpo e soprattutto dagli occhi. Occhi che ti guardano solo per un attimo, che non ti sfidano e anzi sembrano cercare di continuo qualcosa che non trovano: decido che Blanc sarà il cane col quale trascorrerò almeno una parte delle giornate che dedico al rifugio e prendo subito accordi con l’educatrice per avviare il primo contatto.
Ho impiegato tre settimane per riuscire a sfiorargli la testa e lo stesso giorno che sono riuscito a stabilire questo minimo contatto con lui, per la prima volta ha mangiato le crocchette dalla ciotola. Alla quinta settimana ho provato a toccargli la schiena, nella speranza di poterlo poi spazzolare, ma si gira e ringhia, manifestando chiaramente la sua contrarietà ai contatti non fugaci e che, soprattutto, non nascono da una sua decisione. Alla fine, dopo qualche altra settimana passata seduto sul bancale con Blanc che mi gira intorno e mi sfiora con sempre maggiore frequenza, riesco a spazzolarlo: rimane impietrito, paralizzato da ciò che non conosce ma forse anche dal piacere di un tocco leggero che lo libera da polvere e foglie e dalla lanuggine della muta. Di intoccabile rimane solo la coda, ultimo baluardo di una fobia – che negli umani si chiamerebbe afefobia- da cui si stava lentamente liberando: dopo un’altra settimana, anche la coda è spazzolata e Blanc inizia a cercare il contatto, quasi volesse rapidamente recuperare gli anni passati nella totale assenza di un tocco e men che meno di una carezza.

Arriva il momento del collare e del guinzaglio, un passaggio obbligato se vogliamo migliorare un indicatore di adottabilità che è ai minimi livelli. Nessun problema nella vestizione, perchè Blanc ha trascorso tutta la sua vita con una catena al collo e il collare per lui non è una novità: ma appena sente la tensione del guinzaglio si gira verso di me pronto a ribellarsi. Di sicuro ha pensato che era tornato il tempo della catena, che era infatti più o meno corta come quel guinzaglio ma alla cui estremità con c’era mai stata la mano di un uomo: lascio cadere il guinzaglio e Blanc si allontana di qualche metro, si guarda intorno e, dopo un po’, torna da me che lo aspetto seduto sul solito angolo del solito bancale. E’ come se mi dicesse: mi fido di te! Prendo di nuovo in mano il guinzaglio, pronto a lasciarlo nuovamente e, invece, Blanc inizia a camminare trascinandomi letteralmente verso il cancello di uscita del box.

E’ un momento importante, perchè iniziamo pian piano a passeggiare prima nelle aree di sgambatura interne al rifugio e poi nelle vicinanze, lungo il fiume che scorre appena sotto la struttura. Blanc non fa altro che tirare ininterrottamente, attaccato a un guinzaglio che lui interpreta non come una limitazione ma piuttosto come il primo strumento che gli fa assaporare una libertà di movimento mai conosciuta prima. Annusa qualsiasi cosa, urina ovunque, ma soprattutto va avanti e avanti e avanti ancora: anche quando giriamo per ritornare al rifugio, lui è appeso al guinzaglio e procede con la medesima andatura senza mai rilassarsi, senza mai concedersi a una carezza.
Ignora le persone che incontriamo ma non i cani. Appena ne individua uno, che sia sul lato opposto della strada o all’interno di un giardino, la sua reazione è immediata: si scaglia con violenza contro il suo simile e abbaia come un forsennato,continuando a non distinguere tra maschi, femmine e cuccioli. Col tempo accetta anche la museruola, ma se anche l’avvicinamento ad un altro cane cessa di diventare pericoloso resta pressochè impossibile frenare l’irruenza di 35 chilogrammi di muscoli che scattano immancabilmente in direzione del malcapitato di turno: decido, quindi, di evitare per quanto possibile l’incontro con altri cani e al bisogno mi allontano di qualche metro dal bordo della strada per cercare di tranquillizzarlo. Inizio però a uscire con altri cani del rifugio, che Blanc ha meno difficoltà ad accettare, a condizione però che la distanza dagli altri sia rispettata: e quella specie di bolla d’aria che Blanc interpreta come proprio territorio è piuttosto grande e ha un diametro di qualche metro.

Le passeggiate restano sempre il momento preferito da Blanc, che tuttavia comincia ad interessarsi anche a qualche gioco che porto con me nel box: la pallina di gomma piena è l’oggetto che più lo incuriosisce, probabilmente perchè si muove anche dopo che è atterrata dal lancio. Le prime volte la aggredisce come fosse cibo e tenta di masticarla, ma dopo qualche giorno la raggiunge, la osserva mentre si ferma e, poi, se ne allontana, non provando alcun interesse a prenderla in bocca dato che era impossibile mangiarla. Decido di immergere la pallina nell’umido che diamo come pasto a qualche cane ed è così che la pallina diventa subito appettibile: Blanc la rincorre e la prende in bocca, dirigendosi verso un angolo del box per leccarla minuziosamente. Provo a chiedergli di portarmela e appena lo fa -probabilmente per puro caso- lo premio con un pezzetto di wurstel: l’apprendimento è immediato e il gioco della pallina sarà una costante che chiude l’uscita in passeggiata ed il rientro nel box.

In una delle mattine dedicate a Blanc, decido di portarlo a giocare nell’area di sgambatura più grande che abbiamo in rifugio. E’ un prato invitante, pieno degli odori degli altri cani, dove anche Blanc può correre libero e rincorrere la pallina piena che ormai mi chiede di lanciargli sedendosi di fronte a me. Metto la mano in tasca ma la pallina non c’è, dimenticata da qualche parte il giorno prima. Decido di sostituirla con un ramo che raccolgo da una catasta; alzo il pezzo di legno sopra la testa e accade una cosa che non mi sarei mai aspettato da Blanc: il cane si appiattisce al suolo, chiude gli occhi e inizia a guaire sommessamente. Poso immediatamente a terra il pezzo di legno, mi inginocchio davanti a lui, prendo la sua testa tra le mani e vorrei consolarlo con qualche parola rassicurante, ma la voce è soffocata da un nodo alla gola che si trasforma presto in un pianto silenzioso che dura qualche minuto. Quel cane, così aggressivo, così irruente, così apparentemente sicuro di sè era stato in realtà un cane picchiato e maltrattato e, probabilmente, le bastonate gli erano state inferte mentre era imprigionato da una catena lunga come un guinzaglio.

La scoperta mi lega ancora di più a Blanc e le ricerche che conduco sul suo passato confermano appieno i sospetti: Facebook, in questi casi, è una rete formidabile e le persone disposte a raccontare sono sempre molte. In questo caso, poi, sembra che raccontare sia quasi liberatorio, un’occasione per esorcizzare una violenza che probabilmente non investiva solo il cane: scopro, così, una di quelle verità che fanno male e che non vorresti sentire, perchè sono espressione della parte peggiore dell’essere umano, di quella parte buia che ci rende così diversi dagli animali.

Blanc è ancora in rifugio ed io me ne sto ancora occupando: ora è un cane sicuramente adottabile almeno da una persona esperta, ma nessuno finora si è interessato seriamente a lui. E Blanc, abituato com’è stato per sette lunghi anni a non immaginare alcun futuro, sembra consapevole di queste difficoltà: si limita a godere dei momenti di contatto e di gioco che trascorre con me e con altri volontari e aspetta, ma i suoi occhi brillano meno.

Mitia Quagliano